13 maggio 1997 Relazione finale dei ‘Saggi’
Sintesi dei lavori della Commissione a cura di Roberto Maragliano (13/05/97)
Premessa
“Esperto al di sopra delle parti, chiamato a dare un parere su una questione controversa”.
Così il dizionario definisce il saggio.
Non so se noi, che “saggi” siamo stati designati non dall’amministrazione ma dall’opinione pubblica e da chi la fa, ci siamo comportati coerentemente con tale immagine.
Ma una cosa è certa: “cosa insegnare ai bambini e ai ragazzi delle prossime generazioni” (l’interrogativo postoci dal Ministro Berlinguer) è questione assai controversa, rispetto alla quale l’esperto non può non essere una collettività senza limiti, destinata a coincidere con la scuola, ovviamente, ma in prospettiva con la società tutta, e con le dinamiche della sua attuale, profonda trasformazione. La risposta a questo interrogativo non potrà mai trovare un punto fermo.
Il lavoro dei saggi si è concluso. Ma non è terminato certamente il confronto, per il quale, al di là delle considerazioni affidate alla presente sintesi l’impegno della Commissione fornisce comunque un’indicazione di metodo.
Essa consiste in due scelte di fondo.
Quando si affrontano temi di questo tipo, ogni singola competenza, e di conseguenza la tentazione di far centro attorno al relativo ambito di esperienza, deve essere subordinata all’esigenza di “pensare in generale”: solo così si può contribuire alla delineazione di una quadro complessivo di competenze e conoscenze irrinunciabili per tutti coloro che escono dalla formazione scolastica. Non è solo lo storico che deve sostenere l’importanza di una formazione storica, la dovranno sostenere il fisico, il musicista, il tecnologo, il linguista, e lo faranno (l’hanno fatto nell’ambito della Commissione) rinforzando una cornice generale di considerazioni di carattere filosofico, sociale, ideologico, epistemologico: in questo quadro di complessità (che significa non più pensare alle articolazioni di una scuola liceale, ma alla costruzione di una solida base educativa per la scuola di tutti) il problema della singola area di formazione perde il suo carattere locale, e diventa elemento di un tessuto complessivo.
Seconda scelta. E’ opportuno che si consideri programmaticamente aperta l’interpretazione del significato di un simile impegno di elaborazione, cominciando dalla parte che vi hanno giocato i singoli membri della Commissione. Per questo occorrerà prendere in considerazione l’intero tragitto fatto, e le tracce via via depositate. Al di là della sintesi, inevitabilmente parziale, i saggi della Commissione si riconoscono nel complesso del lavoro fatto. E nei materiali che lo documentano: vale a dire nelle circa cinquecento cartelle – le decine di contributi personali, i verbali delle cinque riunioni tenute dallo scorso gennaio ad oggi, gli impegni redazionali in vista della presente sintesi – che vengono oggi consegnate al Ministro Berlinguer, anche nella forma di un Ipertesto (su floppy disk). L’auspicio è che di questo complesso di materiali si voglia dare la più ampia divulgazione. La decisione, assunta fin dall’inizio dei lavori dal coordinatore e condivisa dalla Commissione, di realizzare e mettere a dispo
sizione di tutti un ipertesto risponde appunto a questo intento: non indulge alle suggestioni di una moda tecnologica, ma fa sua un’esigenza di massima democratizzazione dell’informazione e del confronto.
L’Ipertesto, infatti:
consente la riproduzione e la diffusione del complesso del materiale accumulato dalla Commissione;
agevola, in chi se ne vorrà servire, modalità di interrogazione selettiva di tale materiale: per temi, autori, cronologia, ed anche con collegamenti (operati dal coordinatore) tra la sintesi e i contributi forniti dai membri della Commissione;
dare il senso di un confronto in movimento, non riducibile alle ristrette considerazioni di un testo di sintesi.
1. Quadri di riferimento
1.0 E’ parere del coordinatore che, relativamente all’esigenza di individuare dei quadri generali di riferimento entro i quali far maturare e collocare una serie di proposte di revisione degli orientamenti didattici (punto 2 del presente documento) e culturali (punto 3) della nostra scuola, la Commissione abbia centrato la sua attenzione prevalentemente su sette nodi problematici.
Si tratta di nodi, appunto, che tali restano anche alla conclusione dei lavori: non potrebbe essere altrimenti, considerando la loro ampia portata “filosofica” e la composizione della Commissione stessa.
I nodi sono:
le questioni relative alla sfera dell’identità: dell’individuo che si intende formare, del nostro paese (e delle sue tradizioni storiche, rilette in chiave internazionale), dei processi in atto di globalizzazione (vale a dire europeizzazione e mondializzazione) della cultura, della comunicazione, dell’economia, della politica;
l’esigenza di dare un significato etico ed empirico all’obiettivo di “educare nella e alla democrazia”: l’ultima riforma complessiva dell’istruzione, in Italia, è avvenuta più di settant’anni fa; sia il contenuto di tale riforma, sia la sua distanza temporale dall’Italia e dal mondo contemporanei continuano in varie forme a far sentire il loro peso;
la dialettica che, in ordine all’organizzazione dei contenuti della formazione scolastica, si apre tra un’impostazione curricolare, affidata alla solidità dei quadri disciplinari di base (gli elementi istituzionali delle materie d’insegnamento), e una visione di tipo “reticolare”, orientata ad individuare criteri più mobili di aggregazione delle future conoscenze e competenze dei giovani;
il problema della sostenibilità sociale, culturale e ambientale delle dinamiche dello sviluppo, in ordine all’esigenza di coniugare le risorse disponibili con il bisogno di sicurezza e di aspettativa individuale e collettiva nel futuro;
la messa in discussione di una visione esclusivamente “conoscitiva”, “verbale” e “acorporale” dell’esperienza individuale e collettiva, e la conseguente promozione di elementi basilari di un sapere pratico, manuale e operativo;
la questione del ruolo della cultura del lavoro nello sviluppo di un nuovo modello educativo;
la sfida che l’innovazione tecnologica e la moltiplicazione delle fonti di informazione e di conoscenza pongono all’azione scolastica e all’individuo in crescita.
Su questi terreni, inevitabilmente, le opinioni dei membri della Commissione non sono state sempre concordi.
Ma concorde è il loro considerarle espressioni di “emergenze” alle quali l’azione politica dovrà dare ascolto e risposte.
1.1 Molto si è discusso di identità, e lo si è fatto il più delle volte usando il termine al plurale. Nella società del presente, ampiamente differenziata e aperta a un mutamento costante, l’individuo deve orientarsi sulla base di un gran numero di modelli, talvolta anche contrastanti e, lungo tutto il corso della sua vita, deve assumere, di volta in volta, ruoli diversi, a seconda dei contesti di esperienza e di attività. E’ dunque assai più difficile, oggi, proporre e far sì che un individuo mantenga una sua identità definita: i suoi quadri di riferimento saranno forniti dalla mediazione delle forme sociali e culturali, ma anche da processi centrifughi rispetto a queste, basati sulla possibilità di far leva su una elaborazione cosciente della sua personale esperienza di vita.
In questo senso, il problema dell’identità individuale e delle forme di appartenenza dovrà essere al centro dell’attenzione di una scuola rinnovata. E ciò lo si potrà ottenere sia concedendo un’importanza fondamentale agli aspetti metodologici della conoscenza (si tratta fornire gli strumenti linguistici, interpretativi, operativi che meglio rispondono alle esigenze attuali di un’alta mobilità tra le diverse forme di specializzazione culturale e professionale) sia lavorando a promuovere un fondamento di solidarietà universale che si anticipi alla definizione delle identità particolari e favorisca il riconoscimento reciproco delle differenze.
1.2 Ci si deve rendere conto di quanto sia ancora grande, in Italia, la diseguaglianza delle opportunità educative. L’articolo 3 della Costituzione italiana aveva impegnato la repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Ma secondo alcuni dei più importanti indici internazionali sullo sviluppo dell’educazione, risulta che la produttività formativa del scolastico italiano è ancora arretrata rispetto a quella di buona parte dei paesi europei. Famiglia, ricchezza e cultura di provenienza determinano in forme non più accettabili la riuscita scolastica di moltissimi individui.
1.3 La scuola è l’unica sede in cui si presentano in forma ordinata e relativamente completa le “istituzioni” dei vari saperi, diversamente da quanto accade per le informazioni più o meno occasionali e scoordinate che vengono fornite da altre sedi. Ma questo stesso “disordine”, che è proprio della società dell’informazione, agisce come specchio e generatore di una costante revisione dei quadri istituzionali delle conoscenze. La scuola non può assistere inerte a questo fenomeno. Le si potrà chiedere di darsi un assetto culturale all’interno del quale la dimensione disciplinare e quella reticolare (dei saperi trasversali e dei collegamenti fra le diverse aree) costituiscano i poli di un campo di tensioni costruttive, sostenute da un costante impegno di ricerca e di proposizione.
1.4 Un sistema formativo contribuisce allo sviluppo di un paese quando sa anticipare le domande, i bisogni, i vincoli di un futuro possibile. Di fronte alla crisi del rapporto qualità della vita – qualità del lavoro – qualità dello sviluppo, alla scuola si chiede di operare in vista della promozione di una “cittadinanza attiva”: un obiettivo, questo, al perseguimento del quale concorrono, oltre la domanda di lavoro, le caratteristiche qualitative del “sistema Italia”, della cittadinanza, dell’organizzazione ambientale e culturale, dello sviluppo, della Pubblica Amministrazione. In questo quadro va dato un opportuno rilievo formativo al problema della sostenibilità ambientale dello sviluppo, inteso come complesso intreccio di elementi scientifici, di innovazione tecnologica, di mentalità e di cultura, di approccio sistemico ai problemi, di coerenza tra conoscenze, valori e comportamenti, di nessi tra locale e globale e tra presente e futuro, di capacità di gestione delle risorse naturali e di rispetto per le altre forme di vita.
1.5 Sviluppo fisico, manipolazione, operatività minima volta a costruire oggetti sono state fondamentali capacità umane suggerite, imposte, garantite anzitutto nell’extrascuola, dalle condizioni ambientali e dai modi di vita delle società preindustriali e industriali, e solo assai secondariamente dall’istituzione scolastica. La loro acquisizione, con quella della parola, ha consentito agli individui e ai gruppi umani di muoversi nelle articolazioni dello spazio delle culture, dalle forme più concrete alle più astratte, dalle più private e locali alle più universali. La scuola, in quelle condizioni, ha potuto essere scuola di verbalità e di saperi postverbali. Ma ormai le condizioni sono cambiate. La scuola della verbalità e dei saperi postverbali gira a vuoto se non recupera le previe dimensioni della manualità e dell’operatività, dai livelli elementari del gioco e della quotidianità su su fino ai livelli più impegnativi dello sviluppo di capacità di controllo e comprensione di tecniche e tecnologie, anche com
e risorsa per educare a un costume di collaborazione, recuperare l’etica del lavoro e della produzione, preparare ai necessari rapporti col mondo complesso dell’organizzazione sociale e produttiva
1.6 Far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l’orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della “cultura del posto” a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all’autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all’impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell’apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell’educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.
1.7 Le tecnologie possono essere viste come veicoli. Oppure come ambienti di formazione dell’esperienza e della conoscenza. Nel primo caso il loro apporto alla formazione sarà puramente strumentale: permettono di risparmiare tempo (e talvolta denaro), ma non incidono sulla qualità culturale dell’insegnamento e dell’apprendimento. Nel secondo caso il ruolo che svolgeranno tenderà ad essere ben più impegnativo, anche e soprattutto sul piano epistemologico.
2. Le coordinate metodologiche della nuova scuola
2.1 Compito prioritario della nuova scuola è la creazione di ambienti idonei all’apprendimento che abbandonino la sequenza tradizionale lezione – studio individuale – interrogazione per dar vita a comunità di discenti e docenti impegnati collettivamente nell’analisi e nell’approfondimento degli oggetti di studio e nella costruzione di saperi condivisi.
Queste comunità dovranno essere caratterizzate dal ricorso a metodi di insegnamento capaci di valorizzare simultaneamente gli aspetti cognitivi e sociali, affettivi e relazionali di qualsiasi apprendimento.
2.2 Elemento cruciale per l’apprendimento e per la motivazione all’apprendimento è dato dalla qualità delle esperienze che insegnanti e studenti realizzano in relazione alle aree di studio. I saperi offrono i materiali dell’imparare, ma acquistano significato (e praticabilità, anche operativa) in rapporto a come vengono collocati dentro il tessuto delle diverse forme linguistiche e delle strutture teoriche: di qui la centralità dell’epistemologia propria di ogni area di sapere, che fornisce alcune delle coordinate di riferimento per l’approccio didattico.
Le “discipline di studio” vanno dunque pensate come campi di significato che debbono fornire un orizzonte intersoggettivo ma anche acquistare un senso personale e tradursi in operatività, non solo in verifiche scolastiche.
L’istruzione non può e non deve mirare ad essere enciclopedica.
Sezioni diverse del sistema scolastico hanno livelli e scopi diversi, ma in ognuno di esse la regola dovrebbe essere l’insegnamento di alcune cose bene e a fondo, non molte cose male e superficialmente: si deve avere il coraggio di scegliere e di concentrarsi.
2.3. Si deve sviluppare una nuova modalità di organizzazione e stesura dei programmi, che preveda l’indicazione dei traguardi irrinunciabili e una serie succinta di tematiche portanti.
E’ necessario operare un forte alleggerimento dei contenuti disciplinari.
2.4. Tutto ciò comporta un forte investimento negli insegnanti: nel gusto per l’insegnamento, nel senso morale, nel piacere che viene dal far conoscere, far discutere, far costruire sapere.
La scuola deve diventare un luogo di vita e di apprendimento per docenti e studenti: per far questo ci vogliono spazi e tempi adeguati e vivibili.
Va progettato un grande lavoro collaborativo imperniato sull’interazione nei due sensi fra scuola da un lato e università e centri di ricerca dall’altro. Gli obiettivi di questo sforzo consisteranno nella riqualificazione culturale dei docenti (accompagnata dalla drastica eliminazione dell’attuale cumulo di inutili procedure burocratiche) e nella riapertura delle vie di passaggio tra scuola e università. La professione dell’insegnamento dovrà tornare ad essere culturalmente e socialmente desiderabile, grazie anche a nuovi profili di carriera e adeguati riconoscimenti economici.
2.5 Maggiore attenzione, nell’ambito della didattica, dovrebbe essere data alla utilizzazione di una pluralità di strumenti educativi, quali:
testi di buona divulgazione, per tutti gli ambiti disciplinari, scritti con abilità narrativa e capaci di attrarre l’interesse degli allievi;
attività di ricerca, individuale e di gruppo, che insegnino a bambini e ragazzi a responsabilizzarsi, organizzare il pensiero, preparare relazioni scritte: tutte capacità cruciali nel moderno mondo della comunicazione e del lavoro;
pratiche di gioco, e non solo a livello elementare. Il vero gioco e’ vivace, lieve, ma anche appassionato, e quindi serio. L’esigenza di alleggerire il carico culturale e materiale della nostra scuola va inteso anche in questo senso: vale a dire come invito a proporre, tutte le volte che ciò sia possibile, contesti didattici all’interno dei quali apprendere sia esperienza piacevole e gratificante;
impiego delle macchine della conoscenza e dell’elaborazione di informazioni e problemi. In particolare, gli strumenti multimediali sono estremamente motivanti per bambini e ragazzi, perché non hanno affatto odore di scuola, danno loro il senso di disporre di risorse per il saper fare e consentono di non disperdere, ma valorizzare, in un quadro intellettuale più strutturato, forme di intelligenza intuitiva, empirica, immaginativa, assai diffuse tra i giovani.
2.6 Bisogna intervenire sull’editoria scolastica, sollecitandola a (e fornendole le condizioni per) maturare nuove scelte produttive, a favore di testi essenziali (per gli studenti) e più ampi e documentati (per i docenti). Si tratta di un impegno gravoso per l’editoria, ma il sacrificio potrebbe esser compensato:
da un investimento collettivo su biblioteche di istituto (assai più ricche ed efficienti delle attuali), necessarie se si vuole davvero giungere ad una costante utilizzazione degli edifici scolastici al di fuori dell’orario delle lezioni e si intende puntare seriamente sulla riqualificazione permanente dei docenti;
dalle opportunità offerte da un mercato interno e internazionale in cui si fa sempre più forte la domanda di prodotti di divulgazione di elevato profilo culturale e che utilizzino al meglio le risorse della tecnologia.
2.7 L’istruzione e la vita famigliare dovrebbero essere maggiormente connesse che nel passato. Al momento non poche famiglie entrano nella scuola quasi solo per ricevere notizie sul rendimento e sul comportamento dei figli. La formale “democratizzazione” della scuola, attraverso la partecipazione dei rappresentanti dei genitori, ha mostrato, nella forma attuale, molti e preoccupanti elementi di debolezza.
E’ dunque necessario ripensare il legame fra scuola, famiglia e società civile, in termini più concreti, dove la scuola sia parte attiva delle moderne collettività urbane. Il mondo del lavoro, del volontariato, delle religioni, dei gruppi ambientalisti, della cultura, dovrebbero tutti penetrare nella scuola, ed essa a sua volta dovrebbe volgersi verso l’ambiente esterno attraverso associazioni scolastiche, e iniziative varie. Dibattiti e discussioni, rigorosamente preparati, sono strumenti cruciali, anche all’interno del gruppo classe, per la creazione di quel “mettere in questione” e di quella autonomia intellettuale che idealmente formano le basi di una moderna società civile.
2.8 E’ necessario operare un serio riconoscimento della profonda mancanza di obbiettività riguardo al “genere” nella maggior parte del materiale attualmente in uso nelle scuole italiane: il fatto che più ragazze che ragazzi perseguano attualmente la loro istruzione non significa affatto che sia stata eliminata la parzialità riguardo alla posizione preminente del soggetto maschile nel materiale scolastico e in parte delle attività didattiche. Un analogo atteggiamento dovrebbe essere esercitato tutte le volte che, volontariamente o no, emergono pratiche e culture di discriminazione nei confronti delle diversità umane.
3. Le aree di sapere della nuova scuola
3.1 Una particolare attenzione va dedicata alla comprensione e alla produzione del discorso parlato e scritto, in tutta la pluralità di testi possibili, sollecitando sia l’efficacia della comunicazione sia il controllo della validità delle argomentazioni.
La pratica degli usi funzionali più diversificati della lingua parlata e scritta significa familiarizzare con i diversi generi di discorso: un’esperienza da iniziare presto nella scuola di base, ma che andrà continuata, ripresa e approfondita ai livelli ulteriori.
Dunque, un’assoluta priorità deve essere accordata al “controllo della parola”, e in particolare una nuova enfasi e urgenza va riposta sulla capacità di scrivere correttamente ed efficacemente in italiano. La tradizione orale e retorica dell’istruzione e della cultura italiana non sono buone basi per una moderna educazione. Né lo è l’acritica accettazione delle attuali tendenze comunicative dei mass media. L’educazione, a qualunque livello, non può essere basata sul ricalco orale di un concetto o di un’informazione, dentro un arco di tempo estremamente ridotto. E’ necessario andare controcorrente, ed insistere sul valore insito nelle attività di ricezione-produzione di lingua scritta, e sull’allenamento mentale che esse comportano.
In questo quadro, l’approccio del giovane alla dimensione letteraria dovrebbe essere sviluppato secondo le caratteristiche di una pratica di lettura disinteressata, libera, avventurosa. La lettura va intesa e sollecitata come emozione immediata e come bisogno-piacere inesauribile, come scoperta di un libro e continua ricerca di altri libri, come esperienza che può sembrare irripetibile e che può invece durare all’infinito, e perciò anche come uso imprevedibile e imponderabile dei testi. La didattica, anche con la sua strumentazione storica, critica, filologica, dovrebbe tendere a questo risultato, svolgendo un ruolo ausiliario e ritirandosi al momento opportuno. Dovrebbe inoltre saper integrare l’esperienza tradizionale del lettore “catturato” dal testo, e l’esperienza moderna del lettore partecipe e cooperante, del lettore-lettore e del lettore-autore.
3.2 Quanto alle discipline scientifiche, è essenziale puntare sul lavoro didattico di scoperta e di esperienza diretta a livello di scuola di base, dove c’è spazio e tempo per attività libere di laboratorio e dove i bambini possano mettere le mani e gli occhi su oggetti, materiali ed eventi. Mediante l’identificazione concreta e la classificazione di fenomeni e processi, di materiali e delle loro proprietà, verrà gradatamente sviluppata una positiva “conoscenza del mondo naturale”, e, con essa, l’interiorizzazione dei valori del rispetto e della conservazione della risorse e dell’ambiente (inteso come res publica e non più res nullius): con un tale approccio, maturerà negli allievi un adeguato linguaggio di base e sarà favorita l’intersoggettività di congetture interpretative non ancora formalizzate.
Più avanti questa linea d’azione andrà integrata con pratiche di narrazione storico-divulgativa degli eventi significativi dello sviluppo delle scienze, con lo scopo di mostrare anche i contrasti con altre forme del pensiero e l’effetto dirimente delle prove dimostrative (comunemente intese come frutto di “metodo”).
A livello superiore si condivide l’esigenza di immettere negli insegnamenti delle scienze fisico-naturali una prospettiva critica, di natura storico-epistemologica, che ne consenta l’integrazione nel sistema dei saperi sociali e permetta anche di accogliere la tecnologia come ambito e strumento di conoscenza, e come tramite con le attività di produzione di beni e servizi. Su un piano più generale, si dovrà operare al fine di mettere gli allievi nelle condizioni di far fronte all’incertezza, intesa come istanza epistemologica propria delle scienze contemporanee, e come ambito entro il quale far esercitare le dimensioni di responsabilità della scelta e il coinvolgimento etico che essa comporta.
Va tenuto conto che gli insegnamenti scientifici sono ancora oggi legati in gran parte ad un apprendimento dai testi. E’ quindi essenziale un profondo ripensamento dei modi, spesso pedanti, con cui sono esposte le scienze in simili strumenti: si tratta insomma di lavorare a rendere meno labile il linguaggio scientifico evoluto, almeno nei suoi aspetti più elementari. In questa operazione possono essere utili i sistemi multimediali di simulazione, il cui ruolo e le cui funzioni andranno chiaramente identificati e promossi, particolarmente in rapporto all’esigenza di disporre di rappresentazioni mentali efficaci e operative.
Un’attenzione particolare e profondamente innovativa sul piano metodologico va riservata all’insegnamento della matematica, che attualmente registra, soprattutto a partire dall’attuale scuola media, il maggior numero di fallimenti a cui si aggiungono un gran numero di esiti al limite dell’accettabilità. La ricerca sulla matematica non scolastica indica la necessità di insegnare agli studenti ad usare idee e tecniche di tipo matematico nella soluzione di problemi diversi (sia di scienze fisico-naturali sia di scienze sociali). Sembra essenziale, a questo riguardo, che bambini e ragazzi non perdano il piacere del matematizzare, non siano demotivati da eccessi di formalismo e siano aiutati dagli insegnanti e dagli stessi compagni a pensare a percorsi alternativi di soluzione e ad utilizzare in positivo le dinamiche degli eventuali errori.
3.3 Si auspica una generalizzazione di modi nuovi di “fare storia” nella scuola di tutti. Una volta abbandonato il vincolante impianto storicistico di tutti i nostri attuali programmi umanistici, non si può più intendere la storia solo in senso politico, e come sequenza cronologica di avvenimenti. Occorre un profondo ripensamento che investa i criteri delle periodizzazioni, e tenga conto del fatto che ci sono tanti “tempi” quante sono le logiche dei fenomeni che si esaminano.
Sono parte della storia come ambito disciplinare, a livello della scuola per tutti, le grandi trasformazioni culturali che riguardano la storia della mentalità e delle idee, la letteratura, l’arte, la musica.
Non si possono riproporre tante “storie” differenziate, soprattutto all’interno dell’obbligo scolastico (diverso è il discorso per gli indirizzi superiori), ma si deve coraggiosamente puntare ad una “storia integrata”, innovando le attuali pratiche.
Gli attuali strumenti di studio vanno revisionati ed integrati con l’uso di testi di alta divulgazione e con l’impiego di nuovi strumenti (repertori di dati e di immagini, fonti orali, materiali cinematografici e audiovisivi, ricostruzioni virtuali, giochi di ruolo, ecc.).
3.4 E’ indispensabile dare un opportuno spazio culturale (anche nell’ultimo biennio dell’obbligo) alle “scienze sociali” e alle risorse che esse forniscono in vista della comprensione dei meccanismi di fondo dell’agire individuale e collettivo. A titolo di esempio, temi come: il PIL e il deficit; i sistemi politici e quelli elettorali; i condizionamenti “naturali” e lo sviluppo economico-sociale, il formarsi della personalità, il funzionamento dei gruppi, il linguaggio, la comunicazione e i suoi strumenti (in particolare i media), andranno affrontati con adeguati riferimenti tecnici, teorici e concettuali. Non si tratta di introdurre un ventaglio sconsiderato di nuove e vecchie “materie”, ma di sviluppare un insegnamento delle scienze sociali per blocchi tematici, attorno ai diversi rapporti tra natura e società, economia e società, potere e società, cultura e società. Su questo terreno esistono già esperienze consolidate, in alcune scuole sperimentali, ma in vista di una generalizzazione dell’esperienza è nec
essario pensare ad una chiara identificazione culturale dei docenti, in un’area d’insegnamento per definizione multidisciplinare.
In tale contesto si colloca una revisione complessiva dell’educazione civica, che si dovrà sviluppare sia con i blocchi tematici delle scienze sociali sia con lo studio comparativo di testi di grande importanza civile (filosofici, giuridici, religiosi), favorendo nei ragazzi una sorta di “navigazione mobile” attraverso le molte visioni su cui la società potrebbe, o dovrebbe essere organizzata. Qualunque siano i suoi contorni, la nuova educazione civica dovrebbe:
avere più peso nella valutazione scolastica;
introdurre forti elementi di libero pensiero;
procedere, almeno in parte, per dibattiti e discussioni.
3.5 La tradizione classica costituisce un patrimonio importante per il nostro paese: è necessario che gli italiani sentano come propri e conoscano i monumenti fra cui vivono per stabilire un proficuo rapporto con il loro ambiente storico e geografico.
Naturalmente il nostro passato greco-latino non dovrà essere necessariamente noto a tutti attraverso la diretta conoscenza delle due lingue: l’approfondimento delle condizioni di vita, delle culture, dei mondi fantastici e istituzionali dei due popoli potrà essere affidato a resoconti in chiave moderna che sappiano utilizzare anche nuovi e novissimi strumenti di comunicazione.
Altro discorso va fatto per uno specifico percorso scolastico destinato alla formazione dei futuri antichisti. Questo percorso classico (o comunque lo si voglia chiamare) dovrà fornire anche la conoscenza delle due lingue antiche, che potrà utilmente maturare a partire dagli ultimi anni della formazione obbligatoria , sotto forma di opzione non vincolante, e proseguire fino al completamento del periodo della scolarità, tenendo comunque presente che la finalità dell’apprendimento delle lingue antiche è tutta e solo nella possibilità che essa consente di accedere direttamente alle due civiltà e, per il latino, nella comprensione storica dell’italiano.
3.6 Per coloro che amano la cultura e la storia di un certo secolo è sempre eretico il suggerimento che un altro potrebbe essere educativamente più importante.
Tuttavia, nessuna riforma culturale del sistema scolastico italiano può lasciare il Novecento nell’attuale stato di abbandono o di rimozione. La storia e la cultura recenti devono trovare adeguato spazio negli insegnamenti. Il Novecento può essere affrontato in assoluta serenità se ci si rende conto che nessun insegnante è al di sopra delle parti, qualunque sia l’argomento o il secolo, ma che tutti gli insegnanti hanno l’obbligo (è la loro versione del giuramento di Ippocrate) di presentare idee avverse alle loro, nel modo più intellettualmente onesto possibile.
Va comunque tenuto presente che il Novecento non si caratterizza solo per un insieme notevolmente complesso di avvenimenti ma anche per l’affermarsi di ottiche, teorie, linguaggi assai diversi da quelli tradizionalmente adottati dalla scuola. La rilevanza scientifica, tecnologica ed epistemologica del Novecento andrà quindi riferita alle dimensioni di “crisi” e alle tradizioni conflittuali che stanno all’origine delle esperienze contemporanee.
3.7 Quanto all’insegnamento della filosofia – positiva specificità della scuola italiana – non ha giustificazione la proposta di estenderlo, nella sua forma attuale di ricostruzione storica, alle scuole non liceali.
Bisogna pensare a qualcosa che sia valido per tutti (ma non prima dei 15-16 anni), quindi anche (e sono la maggioranza) per i giovani degli attuali istituti tecnici e professionali: dovrà essere una rassegna di idee portanti e servirà alla costruzione delle loro identità e alla riflessione sul loro stare nel mondo.
Nella fase successiva all’obbligo si deve dunque pensare a un insegnamento di “elementi di filosofia” (per tutti, qualunque sia l’indirizzo prescelto) che potrebbe trattare, esemplificativamente: questioni di etica, necessarie per comprendere le forme di validazione e di argomentazione in materia di valore, giustizia, ecc. a partire dai temi dei diritti/doveri, della cittadinanza, della bioetica, della medicina; questioni di logica, di verità e plausibilità, in relazione ai problemi epistemologici e alle diverse forme di linguaggi convincenti e persuasivi. E’ un impegno didattico che si può realizzare agevolmente muovendo da testi filosofici accessibili, anche classici.
3.8 L’apprendimento di un inglese veicolare finalizzato alla comprensione di “istruzioni per l’uso” ed alla comunicazione quotidiana con persone di altre nazionalità, oltre a rispondere alle esigenze del tempo, consentirebbe di avviare su una nuova e più solida base una politica complessiva delle lingue nella scuola.
Accanto all’italiano come lingua madre per i più (ma anche come lingua straniera per gli immigrati), e assieme al francese, il tedesco, lo sloveno, ecc., propri delle aree di bilinguismo del nostro paese, sarebbe opportuno proporre per tutti, fin dai primi anni di scuola, l’apprendimento e l’uso di un inglese essenziale, non letterario (da utilizzare anche con i compagni immigrati, spesso bi o trilingui), e poi, negli anni successivi, lo studio, avanzato sul piano produttivo e culturalmente articolato di una o più lingue della comunità europea.
3.9 Va apertamente denunciata e conseguentemente rimossa la condizione marginale alla quale sono relegate, nella nostra scuola, le arti sonore e visive, e tutto ciò che le integra (come il teatro e cinema). Ciò è per un verso scandaloso, per un altro verso è espressione di un più generale atteggiamento autolesionistico, considerata l’immagine europea e mondiale della nostra cultura e delle nostre tradizioni: si pensi, per fare un solo esempio, a quanto poco si investe sulla circolazione internazionale e sull’insegnamento di una lingua, quella italiana, praticata da tutti quanti nel mondo si occupano o si interessano di musica vocale. Occorre reagire con coraggio e inventività a questo stato di cose: in caso contrario, l’Italia rischia la svendita o l’alienazione del suo patrimonio storico più prezioso.
Occorre dare legittimità scolastica alle forme di sapere che sono proprie degli spazi acustici, investendo in primo luogo sull’ascolto, inteso come espressione di un modo diretto e partecipato di stare in rapporto con le cose.
La musica parla al mondo e parla del mondo, e si fa intendere anche da chi non dispone di una specifica alfabetizzazione musicale: la logica, il movimento, la retorica sono continuamente ed efficacemente azionate dai suoni e dalle voci.
Non si tratta di fare della scuola un luogo di informazione sulla musica. Si tratta invece di farne una sede di esperienza acustica e musicale.
Praticare e realizzare musica, prima e dopo – ma non necessariamente con – il supporto tecnico della notazione, significa riconoscere, gustare ed inventare strutture di suoni e di silenzi, e ciò lo si può fare anche attraverso forme di riflessione che nascano dall’agire e quindi dall’intelligenza del corpo. In questa prospettiva, la composizione musicale andrà integrata con l’improvvisazione, che è un modo per “andare al di là di ciò che si sa”, per dare parola, attraverso il gesto sonoro, al non detto delle emozioni.
I riferimenti storici e ambientali alle diverse espressioni musicali acquisteranno senso e diventeranno patrimonio dei giovani solo se ad essi non verrà mai negata questa possibilità di intendere le arti sonore come “luogo del saper essere e del saper fare”.
La scuola dovrà essere anche la sede per un incontro tra i giovani e la civiltà figurativa, intesa come espressione di un fare dotato di una sua specifica identità. E’ inevitabile legare questa identità al linguaggio “visivo”, ma l’esigenza di conoscerlo e praticarlo consapevolmente può essere considerata fondamentale, contribuendo così a dare una base alla formazione complessiva dell’individuo, solo attraverso una lettura coordinata del suo complesso costituirsi, nel tempo storico e negli spazi d’uso, in forma, immagine, oggetto, territorio.
In questo senso le arti figurative offrono opportunità enormi e non sostituibili allo sviluppo dell’inventiva, dell’operatività, della comunicazione, del giudizio. Un’auspicabile promozione scolastica del complesso delle attività legate alla conservazione e alla valorizzazione dei beni culturali porterebbe anche alla maturazione del senso storico e di una più compiuta responsabilità ambientale, nonché allo sviluppo di sofisticate competenze tecnologiche.